Il Rapporto 2014-2015 di Amnesty International, pubblicato in Italia da Castelvecchi il 25 febbraio, nel giorno del 10° anniversario della scomparsa del suo fondatore Peter Benenson, documenta la situazione dei diritti umani in 160 paesi e territori nel corso del 2014.

 

 

slideIl Rapporto 2014-2015 di Amnesty International, pubblicato in Italia da Castelvecchi il 25 febbraio, nel giorno del 10° anniversario della scomparsa del suo fondatore Peter Benenson, documenta la situazione dei diritti umani in 160 paesi e territori nel corso del 2014.

Lo scorso anno sarà ricordato per i violenti conflitti e l’incapacità di tanti governi di proteggere i diritti e la sicurezza dei civili. Un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza di stati e gruppi armati. Di fronte ad attacchi barbarici e repressione, la comunità internazionale è rimasta assente.

Ma il 2014 è stato anche un anno che ha visto significativi progressi nella difesa e nella garanzia di alcuni diritti umani. Ha segnato date importanti, quali l’anniversario della fuoriuscita di gas a Bhopal nel 1984, la commemorazione del genocidio in Ruanda del 1994 e l’analisi, a 30 anni dalla sua adozione, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Ha visto l’entrata in vigore del Trattato sul commercio di armi.

Momenti che ci fanno riflettere sui passi avanti compiuti ma anche su quanto resti ancora da fare per garantire giustizia alle vittime di gravi violazioni. Questo rapporto testimonia il coraggio e la determinazione di donne e uomini che si battono per difendere i diritti umani, spesso in circostanze difficili e rischiose. Ed è a queste donne e questi uomini che dedichiamo il nostro rapporto.

“Mi fa piacere non essere più sulla lista dei prigionieri politici del nuovo Rapporto di Amnesty International. Il mio nome era stampato nel precedente volume, oggi sono qui a presentarvelo! Sono stato rilasciato prima della scadenza della pena grazie all’interesse e alla solidarietà internazionale: il presidente ha ricevuto più di 100.000 firme. Io ho ricevuto migliaia di lettere e cartoline. C’erano giorni in cui ricevevo più posta io che gli altri 2000 prigionieri del carcere. E quando ogni giorno leggevo parole come “Ales, tieni duro!”, le condizioni in cui mi trovavo mi sembravano migliori”.

 

foto presentazione rapporto

Ales Bialatski ha pronunciato queste parole durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto annuale. Ales è un difensore dei diritti umani ed ex prigioniero di coscienza della Bielorussia, condannato nell’ottobre 2011 a quattro anni di carcere, rilasciato il 21 giugno 2014.

 

 

IL RAPPORTO È SUDDIVISO IN CINQUE AREE

 

Africa Subsahariana
■ Africa Subsahariana

Americhe
■ Americhe

Asia e Pacifico
■ Asia e Pacifico

Europa e Asia Centrale
■ Europa e Asia Centrale

Medio Oriente e Africa del Nord
■ Medio Oriente e Africa
 

Naviga il rapporto su: http://rapportoannuale.amnesty.it/

 

 

Il 2014 è stato un anno devastante per coloro che cercavano di difendere i diritti umani e per quanti si sono trovati intrappolati nella sofferenza delle zone di guerra.

I governi a parole sostengono l’importanza di proteggere i civili ma i politici di tutto il mondo hanno miseramente fallito nel compito di tutelare coloro che più avevano più bisogno d’aiuto. Amnesty International ritiene che tutto ciò può e deve finalmente cambiare.
Il diritto internazionale umanitario, ovvero la legislazione che regolamenta la condotta nelle operazioni belliche, non potrebbe essere più chiaro. Gli attacchi non devono mai essere diretti contro i civili. Il principio di distinzione tra civili e combattenti è una salvaguardia fondamentale per le persone travolte dagli orrori della guerra.

E tuttavia, più e più volte, nei conflitti sono stati proprio i civili a essere maggiormente colpiti. Nell’anno della ricorrenza del 20° anniversario del genocidio ruandese, i politici hanno ripetutamente calpestato le regole che proteggono i civili o hanno abbassato lo sguardo di fronte alle fatali violazioni di queste regole da parte di altri.

 

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto ad affrontare la crisi siriana negli anni precedenti, quando ancora sarebbe stato possibile salvare innumerevoli vite umane. Tale fallimento è proseguito anche nel 2014. Negli ultimi quattro anni, sono morte 200.000 persone, la stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative. Circa quattro milioni di persone in fuga dalla Siria hanno trovato rifugio in altri paesi. Più di 7,6 milioni sono sfollate in territorio siriano.

La crisi in Siria è intrecciata con quella del vicino Iraq. Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi. Parallelamente, le milizie sciite irachene hanno rapito e ucciso decine di civili sunniti, con il tacito sostegno del governo iracheno.

L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane è costato la vita a 2000 palestinesi. E ancora una volta, la stragrande maggioranza di questi, almeno 1500, erano civili. Come ha dimostrato Amnesty International in una dettagliata analisi, la linea adottata da Israele si è distinta per la sua spietata indifferenza e ha implicato crimini di guerra. Anche Hamas ha compiuto crimini di guerra, sparando indiscriminatamente razzi verso Israele e causando sei morti.

In Nigeria, il conflitto in corso nel nord del paese tra le forze governative e il gruppo armato Boko haram è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa del rapimento, da parte di Boko haram, di 276 studentesse nella città di Chibok, uno degli innumerevoli crimini commessi dal gruppo. Quasi inosservati sono passati gli orrendi crimini commessi dalle forze di sicurezza nigeriane, e da altri che hanno agito per conto loro, contro persone ritenute appartenere o sostenere Boko haram; alcuni di questi crimini, rivelati da Amnesty International ad agosto, erano stati ripresi in un video che mostrava le vittime assassinate e gettate in una fossa comune.

Nella Repubblica Centrafricana, oltre 5000 persone sono morte a causa della violenza settaria, nonostante la presenza sul campo dei contingenti internazionali. Tortura, stupri e uccisioni di massa hanno a stento raggiunto le prime pagine dei giornali a livello mondiale. Ancora una volta, la maggior parte delle vittime erano civili.

E in Sud Sudan, lo stato più recente del mondo, decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Questo breve elenco, come mostra chiaramente quest’ultimo rapporto di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi, non rappresenta che una parte del problema. Qualcuno potrebbe sostenere che di fronte a tutto questo non è possibile fare nulla, che da sempre la guerra viene fatta alle spese della popolazione civile e che niente potrà mai cambiare.

 

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Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni sono uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani. Abbiamo ripetutamente visto che, anche nei momenti più bui per i diritti umani, e forse in special modo in tempi come questi, è possibile dar vita a un cambiamento straordinario.

Dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, l’ultimo punto più basso da cui siamo risaliti e abbiamo creato un futuro migliore.